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FABULA RASA 69/ L'oscurità di Djuna

Ho provato negli anni a prendere in mano  La foresta della notte ma, subito, ogni volta, ho rinunciato. Sarà che mi sentivo disorientata nella foresta della vita che è stata quella di Djuna Barnes (1892-1982), poetessa newyorkese, giornalista, scrittrice, drammaturga, ritrattista e illustratrice delle sue opere, abusata, quando era  adolescente, da un vicino di casa e dallo stesso padre, dedito alla poligamia (solo nel 1958 uscirà il dramma poetico L’antifona che allude all’incesto). Per giunta, poi, costretta dallo stesso genitore a sposarsi, prima della maggiore età, con il fratello della sua amante, un uomo di cinquant’anni. Il matrimonio, ovviamente,  non reggerà. Unica nota positiva, per Djuna, avere avuto come nonna paterna Zadel Turner Barnes, giornalista e scrittrice, attivista del movimento delle suffragette, la quale  si occuperà della sua istruzione. L’indipendenza e l’anticonformismo  caratterizzeranno, di conseguenza, la  sua carriera. L’esperienza al  Grenwich Village le darà il colpo di grazia; vivrà la sua bisessualità, ma senza trovare pace. Nel sesso, nell’amore, nella scrittura, nel teatro, nell’alcol, nella paranoia, nella Lost Generation. La sua voce continuerà a farsi sentire finché la furia della notte non avrà fatto marcire fino in fondo il proprio fuoco.

Difficile crescere con un fardello simile e sapere cosa si vuole. Nei Racconti di Lydia Slepoe è una bambina pericolosa che scrive il proprio diario: Ventisette ottobre… Ho cambiato idea. Sì, ho cambiato decisamente idea. Non mi metterò nelle mani di un brav’uomo e non diventerò madre, né partirò in cerca del mio posto nel mondo diventando una libertina. Fuggirò e diventerò un ragazzo. Diciannove settembre. Mi sono uccisa!

Nella Parigi degli anni Venti, fra gli intellettuali inebriati di libertà, Djuna, nel ballo, conduce – come Wody Allen  fa dire al protagonista del suo film, Midnight in Paris. Già! Ma dove conduce?

Nella foresta della notte nessuno può sentirsi a casa, si vaga esiliati nella propria anarchia, come cani randagi, leccando le proprie ferite, precipitando nelle lacerazioni.

Djuna passa da una relazione all’altra: un editore, un filosofo, una giornalista, una pittrice.  La vedevo sempre  come una bambina cresciuta troppo in fretta, col vestitino striminzito, che camminava e aveva bisogno di aiuto e sicurezza; perché era dentro a un suo incubo. Ho cercato di mettermi in mezzo e salvarla, ma ero come un’ombra nel suo sogno che non riusciva mai a raggiungerla in tempo, come il grido del dormiente che non ha eco, io stessa un’eco che lotta per rispondere; e la vedevo ma non potevo raggiungerla, non potevo ricacciare indietro tutti quelli che le stavano addosso…

L’incontro con James Joyce la porterà allo sperimentalismo che contraddistingue il suo stile. Prima in Ryder e poi, appunto in  Nightwood, uscito in precedenza col titolo Bosco notturno che avrà la prefazione di T.S. Eliot – libro famoso ma che non venderà.

L’autrice si contorce nelle convulsioni di uno spirito smanioso che scappa da se stesso e dagli altri, perché la notte ha inghiottito la sua innocenza. Per sempre. Essere totalmente innocenti sarebbe essere totalmente sconosciuti, soprattutto a se stessi.

Attraversare la notte è faticoso; senza una trama definita ti immergi in una serie di profili che, a prima vista, sembrano non avere nulla in comune, ma  che sono tutti acrobati sul filo delle parole, posseduti dal demone dell’inquietudine. Qualche volta dormiva nei boschi, il silenzio provocato dal suo arrivo veniva infranto da insetti e uccelli che rifluivano sulla sua intrusione, dimenticata nell’immobile fissità del suo corpo, che la cancellava  come una goccia d’acqua, e resa anonima dallo stagno in cui è caduta.

Scrivendo a Natalie Barney, disse: Non c’è una sola persona nel mondo letterario che non abbia sentito parlare, letto e talvolta rubato da “La foresta della notte”. Il paradosso è che nonostante la mole di articoli di critica che ha sommerso la stampa dal 1936, non più di tre o quattro hanno menzionato il mio nome. Sono la più famosa sconosciuta del secolo.

Ha continuato ad esserlo: vorremmo non lo fosse più!

 

ennebi

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