Ho sempre amato i miti, forse più delle favole. Ma favole e miti non si incontrano in origine negli archetipi dell’umanità? Orfeo ed Euridice mi hanno sempre fatto innervosire: lei, perché moriva “scioccamente”, e lui, perché la perdeva “frettolosamente”. Molti, come sapete, ne hanno trattato:
(Ovidio, Metamorfosi, X)
Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero (di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?), per l’ultima volta gli disse addio, un addio che alle sue orecchie giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva
(Virgilio, Georgiche, favola di Aristeo e le api)
Quella disse: “Chi mandò in rovina me misera e te, o Orfeo,
quale grande follia? Ecco di nuovo i crudeli fati mi chiamano
indietro e un sonno seppellisce gli occhi che vacillano. Ora addio:
vengo trascinata dopo essere stata circondata da una notte profonda
e mentre, non più tua, tendo a te le mani prive di forze!
Parlò e improvvisamente fuggì dagli occhi,
come il tenue fumo mescolato all’aria, e Orfeo non vide
che cercava invano di afferrare le ombre e che voleva dire
molte cose, e il traghettatore dell’Orco non accettò
che quello attraversasse nuovamente la palude posta davanti.
(Angelo Poliziano, Fabula di Orfeo)
Ahimè, ecco che l'eccessivo amore ci ha perduti entrambi. Ecco che io ti vengo sottratta a forza e non sono ormai più tua. Tendo a te le braccia, ma non serve, poichè vengo tirata indietro. Addio, mio Orfeo!
(Cesare Pavese, L’inconsolabile, dai Dialoghi con Leucò)
Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi "Sia finita" e mi voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. Sentii soltanto un cigolio, come d’un topo che si salva.
La foto è tratta dal Poema a fumetti di Dino Buzzati.
Ed io ho immaginato, nella sintesi personale, che nell’Ade, dall’Eternità, lei parlasse a Orfeo così.
Euri-dice
Orfeo adorato, musico cantore
ricordi quando
fra i miei capelli il tuo profumo hai sparso?
Quel giorno felice
nel mio bosco sei apparso
tu, figlio di Calliope, poeta dell’amore!
Diffusa era in Tracia
l’eco della tua fama magna;
con il canto, delle belve vincevi
la ferocia,
con la dolce armonia smuovevi
la montagna.
Caro marito, appassionato amante
dal nido fra i rami
la quercia dell’infanzia non più sente
i baci né i sospiri lontani.
L’amore mi ha nutrito
cuore e mente
moglie devota donna appagata,
ma il desiderio altrui
sopra un serpente
mi fece cadere, desolata.
Il morso mi costò la vita, come sai,
e mi condusse nel regno delle ombre
da cui fuggire non si può giammai,
chiusa nella gabbia del sempre.
Là vagavo nelle tenebre maligne
sprofondando nella malinconia
fra morte e pianti rassegnati.
Non avrei più goduto della lira
la tua struggente melodia
ma subìto di erranti spiriti bruti
gemiti disperati.
Il ventre della terra è
freddo e oscuro
le sabbie del tempo ferme.
Ade e Persefone sovrani
di questo mondo nero
rendono l’aria e la punizione eterne:
tutti i lamenti sono vani.
Ma tu scendesti con il tuo canto
nel sotterraneo regno della morte
mi volevi di nuovo al tuo fianco:
così cambiasti la mia sorte!
Seppi che la pietà era entrata lì
negli inferi nefasti
dal momento in cui, amato mio,
per amor della tua sposa persa
tu arrivasti.
Dalla fedele lira
la dolce nenia sparsa
perfino nelle Erinni furiose
un velo di compassione pose
e la promessa del mio ritorno
strappasti!
Come fosse ancora in vita
il mio cuore esultò
lungo il sentiero verso la luce
riaffiorava la felicità smarrita
la speranza coltivò
di abbandonare il luogo truce.
Cominciai a seguirti
e ad ogni passo
quante cose pensavo in cuor mio
di dirti,
mi concentravo per non pensare
che null’altro potesse colpirmi più
dell’avvenuto trapasso
del mio infelice io.
Mi sbagliavo, ahi, quanto mi sbagliavo!
Proprio all’uscita,
quando già s’intravvedeva la luce
ti fermasti, e no!
Noli respicere!
Ma tu, amor mio, ti voltasti e
un’ultima ferita
il destino crudele m’inferse.
Ora, mio amato, ti parlo
dall’Ade
dal luogo ove tu stesso sei venuto
a cui, ahimè, per sempre
mi hai riconsegnato.
Ma dolce è il lamento
che ormai s’ode:
con tutta me stessa
ti ho perdonato.
Lì per lì, sull’uscio
con le mie mani t’avrei strangolato
ma, poi pensai, Orfeo
non ha resistito,
si è voltato.
Perché?
Per troppo amore, capii,
Euridice di nuovo muore
e così tornai con animo mesto
nell’eterno guscio.
Del resto, mio caro,
se mi avessi meno amato
all’Inferno
nemmeno un folle sarebbe sceso
e così, ancora oggi, mi consola
da lontano
che un’ultima volta pur da ombra
ti ho dato la mano.
ennebi
Scrivi commento