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RACCONTI & CO. / 17 Lo spirto del Natale

Era sempre stato uno studioso, Fausto, un uomo dedito alle ricerche, alle carte. Insomma, un solitario. Il percorso di approfondimento continuo, intrapreso, chissà perché, un giorno lontano, non gli aveva mai lasciato troppo spazio per la vita sentimentale che languiva senza aspettativa alcuna.  Dedicava tutto il suo tempo solo ai libri. Ma aveva cominciato ad avvertire lentamente il peso della solitudine, soprattutto la sera, quando, per la vista che si era piuttosto indebolita, era costretto a riposare e quindi a pensare. L’unica visita che di tanto in tanto riceveva era quella di Girolamo, il giovane figlio dei vicini di casa: che, mossi a compassione, quasi obbligavano il ragazzo a far compagnia al vecchio professore col pretesto di fargli portare una minestra calda. Ma era davvero impossibile comunicare con quello strambo personaggio che, incaponito sulla sua ridicola poltrona dalla quale più volte era scivolato come un sacco di patate, sapeva solo parlare di versi, rime, codici di lettura, parafrasi, commenti, strategie letterarie e roba del genere. Girolamo era certo già prima di bussare che non ci sarebbe stato alcun progresso fra lui e quel barbagianni: un abisso di anni ma soprattutto di interessi e passioni li separava. E così, soffocando le risate, lo aiutava a rialzarsi; mentre quello, burbero, malamente reagiva.   

Un giorno l’anziano professore ricevette in eredità da un vecchissimo zio assai ricco, morto lontano, un palazzo antico in pieno centro. Inizialmente incapace di realizzare il cambiamento che poteva avvenire nella sua vita, si convinse quando si rese conto che sarebbe diventato proprietario non solo di un palazzo a tre piani di gran valore commerciale ma soprattutto all’idea di passare il resto della sua vita nella preziosa biblioteca di famiglia. Una sorpresa inaspettata nella sua monotona esistenza: quella biblioteca era tutta per lui! E poi, si avvicinava il Natale, sarebbe stato di certo un Natale diverso, magari avrebbe invitato i vicini di casa, stavolta lui, a cena!

Le cose necessarie, da portare con sé, a parte un baule stracolmo di libri, erano davvero poche e, del resto, il palazzo era provvisto di tutto. Mobili e suppellettili di fattura pregiata, arredi e utensili di tutti i tipi.  In quattro e quattr’otto, prese possesso della nuova dimora. Nei primi giorni, a parte poche pause, fu molto impegnato a sistemarsi nella nuova casa, e la sera, stremato, si addormentava di botto. Ma una notte, dopo la prima settimana, cominciò a sentire degli strani rumori.  Si alzò e girò per le stanze buie al lume di candela. Non trovò nulla fuori posto, pensò così che qualche perditempo si fosse appoggiato al portone o qualche animale vi si fosse strusciato.

La sera successiva, mettendosi a letto, al buio, sentì un tocco lieve, come una mano che gli faceva una carezza. Sobbalzò, urlò, corse in bagno e vi si chiuse. Ma la strana presenza, che lo aveva seguito, lo rassicurò con dolcezza, dall’esterno gli disse di calmarsi ché non gli avrebbe fatto nulla di male. Lui, prendendo un po’di coraggio, chiese: chi sei?,  e lei si presentò. Era Clotilde, una donna che aveva abitato in quella casa molti anni prima, una poetessa, e in quella biblioteca aveva trascorso buona parte della sua vita, quando poi, per amore, vi si era impiccata. Avrebbe potuto, se voleva, comunicare con lei attraverso il paravento che faceva da spogliatoio, ma solo di notte. Fausto, dopo lo stordimento iniziale, superò la paura per far posto alla curiosità e così cominciarono a parlare, a conoscersi. 

Da quella sera nacque l’amore. Fausto, quando ci ripensava, poteva paragonarlo solo ai colpi di fulmine di cui tanta letteratura testimonia. Non sapeva che cosa fosse l’amore perché non l’aveva mai provato. Aveva letto nei libri di sensazioni e di emozioni ma mai, fino a quel momento, aveva assaporato il gusto e il tormento dell’attesa. Durante il giorno non faceva altro che pensarla, aspettava l’arrivo delle ombre per poterla ritrovare, ascoltarla, parlare con lei.  La immaginava, la desiderava. Clotilde diventava sempre più necessaria, ogni giorno e ogni sera di più, nella sua vita. Finalmente aveva trovato qualcuno che lo ascoltava e con cui potersi aprire, confidare, senza il timore di essere deriso.

Negli stessi giorni, aveva scoperto nella grande e vecchia biblioteca le poesie che lei aveva scritto: e la sera nel letto le declamava i versi, e lei dietro il paravento  scherzosamente gliene rimandava l’eco.

Aveva escogitato, su suggerimento di Clotilde, un modo per riuscire a intravedere le sue forme esteriori, pur essendo, lei, solo spirito e ombra. Con la luce di tre candele gli riusciva a tratti di cogliere le sembianze della sua amata. Lunghe chiome ricciolute e forme morbide, viso ovale e delicato. Purtroppo non poteva arrivare agli occhi: era proibito, le aveva detto lei.

La vita di Fausto, da quando l’ombra di Clotilde la poetessa vi era entrata, si era riempita di luce. Quella donna gli dava un senso, un significato ai giorni, agli studi, alle letture. L’amore cresceva a dismisura, e da quando era arrivato in quella nuova casa aveva colmato il vuoto dell’anima. Di questo ringraziava nelle sue preghiere lo zio, che si era ricordato di lui, lontano nipote.

Altro che Natale con Girolamo e i suoi genitori!  Avrebbe trascorso il Natale con la sua amata e aveva studiato un piano infallibile. Perché l’amore era diventato ossessione, tormento di non poterla avere completamente, dovendosi accontentare del dialogo attraverso quel paravento nel buio della notte e con l’alba che la portava via. E anche lei, ormai, soffriva. Lo sapeva, lo sentiva.

Non voleva che lei soffrisse ancora e così decise di farle una sorpresa per la notte di Natale. Mentre tutti festeggiavano seduti alle tavole imbandite, con gli alberi e i presepi illuminati, in attesa della nascita del Bambino, aprì il grande armadio. Tra i tanti vestiti, scelse il consunto ma elegante abito da matrimonio dello zio: un tait gessato con gilet grigio, la camicia di seta con i gemelli d’oro ai polsi, pantaloni stiratissimi e scarpe lucide e per finire un garofano rosso posticcio all’occhiello. Si ritrovò impaludato.  Ma cosa importava?  La corda era lì, pronta. Si impiccò. I loro spiriti si sarebbero incontrati.

Il povero innamorato, ignaro delle leggi eterne cui devono sottostare le anime dei dannati, non poteva sapere che il tempo di Clotilde stava per terminare. Lei aveva taciuto per non rattristarlo, e così, tornato nella casa ma da spirito errante, Fausto vagò inutilmente alla ricerca della sua amata. Clotilde, Clotilde, amore, amore…

Il suo tempo era appena iniziato e avrebbe per cento anni inseguito l’amata ombra di Clotilde che proprio quella notte santa era passata definitivamente nel successivo regno delle anime dannate. Laddove non esiste alcun Natale.

ennebi

 

 

 

 

 

 

 

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