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FABULA RASA /47 L' isola di Fabrizia

Come ormai sapete, vivo su un lago, adoro il mare, sono affascinata dai fari e dalle isole. Ho deciso di leggere in questi giorni L’isola riflessa di Fabrizia Ramondino (1936- 2008) per il suo titolo. Una sorta di resoconto spirituale nel quale l’autrice ha consegnato al mondo non solo le sue riflessioni - di una lucidità sconvolgente - ma anche i suoi problemi dovuti alla depressione (la sconfiggerà? ne sarà travolta?) - Un’osservazione clinica: la psicosi maniaco-depressiva è ben diversa dalla sindrome depressiva - la mia. La prima è come un’altalena, si va giù e si va in alto. Nella seconda si  sta solo giù - e all'alcolismo - Per sollevarmi, almeno per qualche ora, bevo… […] La bestia è sempre in agguato.

Ripercorre ancora una volta fasi della sua vita, ma, stavolta, di quella matura - non dell’infanzia, come aveva fatto nel suo primo romanzo, Althénopis,1981 - con un’amarezza insopportabile:

Come quando si guarda un film che si riavvolge velocemente a ritroso, così mi appare la mia vita passata, scene comiche o insensate, dove ogni gesto è a scatti, ogni parola è inghiottita da un indistinto borbottio, come se avessi avuto fretta, troppa fretta, di arrivare alla fine - che è poi l’inizio.

Ventotene: Un fazzoletto di terra perduto nel mare, un luogo di incontro nazionale e internazionale. L’isola delle sirene di Omero, mitologica e leggendaria, dei naufraghi, delle torri dei pirati, dei galeotti, dei confinati politici. Di gabbiani e di uomini sepolti vivi. Di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Sandro Pertini.

L’isola di Santa Candida, la cui immagine, a differenza delle Madonne napoletane, con gli occhi arrovesciati verso l’alto come in estasi, sembra quella di una donna moderna con la falcata della coscia che si profila chiara sotto la gonna.

Un luogo dell’anima, oggi diventata un luogo qualsiasi. Un’isola con un cuore di vento. Nella quale, alla Ramondino, il tentato suicidio per annegamento con antidepressivi e Armagnac non riesce. C’era ancora un residuo di coscienza, un grumo inutile di cui avevo paura. Ma sempre in mare, nelle acque di Gaeta, morirà. Di certo l’ultimo grumo si era sciolto.

L’isola diventa un feto circondato da acque, un quaderno dalla copertina nera a minuscoli rombi, dal bordo rosso, a righe e a quadretti, sul quale scrive e che diventa l’unico luogo al quale sente di appartenere veramente. Provo angoscia quando il quaderno finisce, non solo perché vi è racchiuso per sempre, come in una tomba, un tempo della mia vita, ma anche perché so che è sempre più difficile trovarne eguali. Un quaderno che diventa isola, un’isola che diventa quaderno; un’isola e un quaderno che si fanno vita nella quale anche io, cacciatore di parole, do la caccia a parole che non passano più. E anch’io vorrei essere realmente pazza. Ma non basta aggrapparsi alle parole, ai quaderni, al vento, farsi rapire dai pirati, dal vino, dal deserto. Dalla “navicella del tuo ingegno”. C’è l’incapacità di conoscere e amare il giorno degli altri. Ma bastano dei cespugli di belle di notte per annunciarle la presenza dell’amore - nonostante tutto.

E ricordo le mie ultime letture, Il principio speranza di Ernst Bloch: che quando si muore, muore in noi soltanto quanto non è stato utopia.

Un libro per nulla facile, che altrimenti non avrei amato. Pieno di solitudine ma soprattutto di consapevole coerenza.

 Anche perciò non spero che la mia rischiosa fuga dai miei cari e dal mondo nell’isola e nell’alcol possa essere compresa… […] In questo loro mondo mi sento un’apolide…  L’isola è deserta - io stessa lo sono.

ennebi                                                         

 

 

 

 

 

ennebi

 

 

 

 

 

 

 

 

[…] Anche perciò non spero che la mia rischiosa fuga dai miei cari e dal mondo nell’isola e nell’alcol possa essere compresa… […] In questo loro mondo mi sento un’apolide…  L’isola è deserta - io stessa lo sono.                                                                ennebi

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