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FABULA RASA /72 / Le visioni di Charlotte

Sarà stato per l’influenza del padre (anche se assente) bibliotecario, e delle zie di questi (Harriet Beecher Stowe, autrice del famoso La capanna dello zio Tom, la suffragetta Isabella Beecher Hooke e la pedagogista Catharine Beecher) che Charlotte Perkins Gilman (1860-1935) divenne – anche se lei si sentiva «una ragazza qualsiasi. Affamata dalla nascita. Ignara del valore di una donna» – poetessa, scrittrice, sociologa, economista, conferenziera e naturalmente… femminista, dando alle sue teorie un taglio psicologico e perfino utopistico.

Nota solo a pochi, Charlotte scrisse in soli due giorni il racconto che la rese famosa nel 1892, quando La carta da parati gialla venne pubblicato, definito da alcuni lettori robaccia pericolosa. Cosa  conterrà mai un libro dal titolo così rassicurante? Ebbene, la storia di una depressione post-partum (quella dell’autrice appunto) curata dal medico con la prescrizione  di assoluto riposo e nessuna attività intellettuale! Signore e signori, sappiamo bene che le donne sono intellettualmente inferiori agli uomini e che non devono sforzare il loro ristretto cervello perché altrimenti si finisce per diventare isteriche! Che importanza possono avere il carico domestico e la mancata autonomia economica? Nessuna… Eppure, la protagonista riesce a venir fuori dal vortice di disperazione a cui l’isolamento la costringe e a liberarsi dall’allucinazione della figura femminile prigioniera della carta da parati gialla. «Per molto tempo non sono riuscita a capire cosa fosse quella figura che si scorgeva in filigrana, quel sotto-disegno indistinto, ma ora so per certo che si tratta di una donna. Di giorno è sommessa, tranquilla. Credo sia il disegno a tenerla ferma in quel modo. È assurdo. Mi tiene lì inchiodata per ore, in  silenzio». Partendo dal proprio vissuto, dalle premure e dall’amore coniugale –  autorità maschile che si fa campana di vetro – la protagonista del racconto, che non ha un nome e nemmeno voce in capitolo, se ne riappropria ridandoli a tutte le donne – sull’orlo di una crisi di nervi – quando il peso dei doveri annulla la loro essenza femminile. Non siamo uomini mancati! Maledetta psicoanalisi…

La dipendenza economica, l’autorità patriarcale, la repressione sessuale, il ruolo subalterno di moglie e madre, il matrimonio come istituzione, il modello materno tradizionale… insomma, quest’ordine deve essere sovvertito – lei stessa affidò la figlia all’ex marito e alla sua migliore amica che ne era diventata la seconda moglie. E, visto che pubblicare diventava sempre più difficile, ecco che fonda un mensile per divulgare le proprie idee. Oggi avrebbe, di certo, creato un blog. Invita,  quindi, le donne a essere unite nella lotta contro le differenze di genere che possono essere cambiate, alla ribellione contro la violenza, alla libera scelta e all’emancipazione. In Woman and Economics, per migliorare le condizioni lavorative di tutti, sviluppa un’idea di forza della collettività: così come non esiste un fegato femminile anche il cervello non ha sesso.

La sua scrittura, già di per sé rivoluzionaria nelle trame che hanno come scopo la liberazione della donna, approda nella trilogia utopistica: Muoviamo le montagne, La terra di lei, Con lei nella nostra terra. Non l’hanno inaugurata i grandi filosofi, da Platone a Moro, la visione immaginaria di un mondo migliore? Come molte utopie, tuttavia, contiene pesanti punti critici (conformi alla mentalità dell’epoca) legati all’eugenetica, che, proprio, non condividiamo – le montagne devono smuoversi per tutti – mentre apprezziamo le tesi sulla condizione femminile e gli altri suoi scritti come il saggio La casa: il suo lavoro e l’influenza, in cui afferma che l’istruzione e l’indipendenza economica possono fare la differenza. «L’errore risiede in un’erronea valutazione del femminile e del maschile. Abbiamo sempre considerato la casa e i lavori domestici esclusivo appannaggio femminile».

Per dare l’ultimo tocco al suo stile di vita non tradizionale, decise di sconfiggere il cancro con il suicidio, fedele al suo principio che ogni donna può e deve scegliere per sé.

 Nel 1887, dopo il parto, il medico aveva raccomandato a Charlotte di non toccare mai più penna, pennello o matita. Le siamo ancora grati per la sua disubbidienza!

ennebi

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Commenti: 2
  • #1

    Mariolina Rocco (sabato, 09 marzo 2024 15:36)

    Complimenti, Nuccia, per averci raccontato, anche questa volta, la vita di una donna straordinaria!

  • #2

    Luigi Antonio Petrone (domenica, 10 marzo 2024 12:00)

    La "sofferenza" produce poesia.