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FABULA RASA /77 Le eroine di Anna

Artemisia non è un libro facile così come non lo è la vicenda, lo stupro, la denuncia, di una giovane pittrice del Seicento, Artemisia Gentileschi, raccontata da una grande scrittrice del Novecento, mai nota abbastanza al grande pubblico. Eppure, Anna Banti (1895-1985) - mi piace ricordare - di famiglia calabrese, al secolo Lucia Lopresti (ero la moglie di Roberto Longhi e non volevo espormi né esporlo con quel nome. Né volevo usare il mio nome di ragazza, Lucia Lopresti,col quale avevo già firmato degli articoli d’arte. Così scelsi Anna Banti ...), traduttrice, critica letteraria, cinematografica e artistica, impiegò a scrivere questo romanzo anni e anni, dopo aver perso il primo manoscritto sotto le macerie di casa sua nell’agosto del ‘44. Ma la scrittrice non si perde d’animo e riallaccia  i fili della trama instaurando un dialogo interiore con la pittrice che diventa il suo alter ego.

Artemisia risponde alla violenza subita ricostruendosi come donna e artista, anche a costo della solitudine: viaggia in Italia e in Europa esercitando il proprio senso di libertà col talento della creazione.

Una violenza ti cambia la vita. Ti cambia. Non sei più la stessa. E allora la tua esistenza agli occhi del mondo diventa scandalosa: figurarsi, una donna in giro a dipingere proprio come un uomo!

La Banti biografa, da donna a donna, si domanda se sia stato giusto resuscitarla, Artemisia Gentileschi, tirarla dalle ombre della dimenticanza; forse doveva tacere, ha sbagliato tutto: l’ho trattata senza discrezione. Ne aveva il diritto? Dal 1947 è un coro di sì.

Già iniziata ne Il coraggio delle donne, l’analisi delle eroine della Banti continua con Le donne muoiono. Escluse dalla vita degli uomini divenuti immortali, le donne scelgono l’isolamento per dedicarsi alla libera espressione del proprio istinto creativo.

Determinata nella lotta contro l’oblio del tempo si affida a personaggi femminili intensi, ma Artemisia è unica: una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale e a una parità di spirito fra i due sessi.

La Banti però preferiva parlare di umanesimo perché, a suo avviso, le donne mancano di solidarietà fra loro; non già di femminismo. Ma,  né sposa né fanciulla senza paura, del femminismo Artemisia  è diventata simbolo: grazie alla delicata maestria letteraria di una narratrice che non arretra, anzi! rende più cruda la violenza: quattordici anni, mi difesi e non valse. Si difenderà, però la Gentileschi, con la forza del pennello, dietro Giuditta, tagliando la testa di Oloferne/Agostino Tasso, con la spada del riscatto. Di tutte le donne violentate.

Un grido lacerante conclude il suo percorso di scrittura e di mancata storica dell’arte (c’era già mio marito) e riconferma solo ciò che ha voluto lasciare di sé come Anna Banti distruggendo l’archivio di Lucia Lopresti. Anna Banti era in realtà un personaggio che già viveva in me e che il filtro magico della memoria s’incaricò di portare a galla. Era una lontana parente di mia madre, una signora che nel ricordo mi tornava sempre velata, quasi temesse di esporre la propria pelle ai raggi del sole. Analizzandola, scorgevo in essa il simbolo di una condizione eterna della donna: quel suo esistere all’ombra dell’uomo, dipendere da lui.  Era stato  forse così per Lucia Lopresti? Con la ricerca della propria identità nella costruzione di un equilibrio apparente nel quale, forse, paradossalmente, la scrittrice non aveva potuto coltivare il suo vero, autentico spazio creativo.  Comunque sia, Artemisia nel Seicento romano, La camicia bruciata nel Rinascimento fiorentino, Lavinia fuggita nel Settecento veneziano, Il coraggio delle donne e Vocazioni indistinte nell’Ottocento tracciano la denuncia tagliente della repressione a cui donne di ogni tempo sono state sottoposte.

Ma se ci fossimo perse la produzione letteraria di  Anna Banti per quella, diversa di Lucia Lopresti, a noi, egoisticamente, sarebbe dispiaciuto. Lei, Lucia/Anna, di certo, sarebbe stata meno dura con se stessa e forse anche con il mondo.

E, con la denuncia della violenza su Artemisia come la mettiamo? Forse non ci sarebbe stata, o, almeno, non allora, e, soprattutto, non come ha saputo raccontarcela Anna Banti.

 ennebi

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Commenti: 2
  • #1

    Mariagrazia Scarnecchia (martedì, 19 novembre 2024 10:09)

    Il problema dell’ombra oggi è purtroppo relegato sullo sfondo perché il focus è sui femminicidi e sulle violenze fisiche e psicologiche. Eppure è dall’essere un passo indietro, o l’ombra dell’altro che nasce tutto…

  • #2

    Nuccia Benvenuto (martedì, 19 novembre 2024 18:13)

    Grazie! Un interessante argomento da approfondire. Purtroppo nessuno vuole scavare ma tutti restano in superficie.