
La donna della quale voglio raccontarvi ci ha lasciato una poetica senza fronzoli, artifici e nascondimenti: non appartiene a categorie determinate. - Senza classificazioni, insomma! - Chiara come una fonte d’acqua fresca o, come ha detto Vitulio Margaritelli, simile a una boccata di ossigeno.
Una poetessa che devotamente si prostra davanti alla Musa. Così sarem ancor, / radiosa, eccelsa, bella; / ed io in terra genuflessa, / così… come un’ancella.
Un’anima assetata che teme di essere derisa, di esporsi al giudizio altrui, che forse dovrebbe tenere per sé quello che prova. Ma il cor dice: “Non posso; / non posso contenere tutta l’ondata / dei sentimenti tuoi. Non può, una che come lei, scruta troppo il mondo. Famiglia, sentimenti, ricordi, fede, natura, terra calabra, sono i compagni di un viaggio durato novantadue anni. Ancora in cammino io mi ritrovo. Alla riscoperta delle piccole cose che diventano grandi, del mistero della vita e della morte, del destino. Allenta la tua morsa, / - destino - allenta. / non far che i tuoi tentacoli / mi serrino la gola; / non farti piovra. […] Arbitro sei d’ogni esistenza umana / ed io ti temo… / ho paura di te, cieco destino.
Ma ritorna, puntuale, la stessa domanda: Perché io ho scritto ciò che nel mio cuore, / prepotente e gagliardo, ribolliva? Perché l’anima mia ho denudato, / tanto che alcun sorridere ne può? Lei, sa già bene perché e dopo aver cercato risposte poetiche, come: Non chiedete al Poeta / perché scrive; / vi direbbe: Non so, / è forse il vento che mi detta le parole. […] Non chiedete al Poeta / perché scrive. / Vi direbbe “È la divina musa che lo vuole”, alla fine risponde sinceramente. Che la cagione è sempre stata una: / l’imperioso bisogno di estrinsecare / pena, gaudio, esitanza, fede, amore, / tutti gli impulsi, tutti i turbamenti / dell’anima e del cuore. La cagione si trova negli attimi incantati che le fanno capire, a fine giornata, che deve scrivere e che, se non lo facesse, non potrebbe posare tranquilla il capo sul guanciale. Perché i versi, soprattutto, aiutano a superare le difficoltà della vita, allontanano i pensieri fastidiosi. Lei sa, che se non avesse più la voglia di scrivere, cesserebbe anche un perché della vita.
Silloge dopo silloge - sei in totale, mentre scrisse solo una raccolta di Piccole Storie -pensando sempre di non proseguire, la nostra si ritrova in una continuità poetica spontanea, naturale. Un faro nel buio, / un’armonia nel silenzio, / è la Poesia.
Che niente e nessuno può fermare. La penna e il foglio. / Due amici, insomma, / che mai m’hanno tradito, / ed io mai tradirò. Con la stessa freschezza che nasconde interrogativi profondi, in un ininterrotto dialogo con se stessa. Chi sono? A novant’anni, quando la vita diventa Ore – Attimi – Minuti, continua a chiedersi: Chi ero? […] Una piccola foglia, un sassolino, una farfalla. […] Che cos’è l’animo umano, / quel niente e quel tutto / che ognuno porta con sé / per tutta la vita?”.
Quel tutto che Paolina Gervasi Mantovani (1907-1999) ha portato con sé, da Carpanzano, e l’ha fatta diventare, tra le altre cose, nel 1996, Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Le hanno intitolato - cosa non da poco per le donne nella toponomastica italiana - un largo, nella città in cui ha vissuto, Cosenza, e una via a Taranto, ma, in assoluto, ciò che più rispetta il suo spirito poetico è la targa a lei dedicata nel giardino del III Municipio di Roma. Sì. Perché se, tralci e sarmenti son / questi miei versi / e recisi con cura e struggimento / da quell’arbusto ch’è / l’anima mia, noi li abbiamo raccolti e conservati. E vanno letti.
Mi par di aver raccolto tanti fiori / sul prato della vita / Mi par di averne fatto un mazzolino / fresco e odoroso / da puntar sul petto. Ma il suo profumo / io sola… avverto, / poi… più nessuno. Sbaglia di grosso, qui, Paolina Gervasi Mantovani. Ne sono sicura. Vero? Di certo, il profumo di quel mazzolino di poesie vi sarà arrivato tutto, riempendovi il cuore.
ennebi
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