
Secondo Niccolò Tommaseo, ciò che per un’altra sarebbe stato ostacolo per Caterina Percoto (1812-1887) è diventato incentivo; e così, anche secondo Michele Prisco, sono state proprio le radici geografiche, così come il paesaggio aspro e asciutto, a impregnarne la scrittura. Sarà stato, dico io, anche perché, lei, unica femmina fra i sette figli del conte Percoto - pur confessando: dal lato della madre puzzavo almeno per un quarto di sangue plebeo - avrà dovuto maturare una speciale virilità, un certo caratterino, insomma. Io da gran tempo vivo sola… il mio dovere è di pensare a me stessa e di vivere tranquilla aspettando la mia ultima ora. Ribelle ed esuberante fin da bambina, soffrì per la delusione di un amore contrastato dalla famiglia e dalle suore del collegio che frequentava, tanto da rinunciare per sempre al matrimonio e dedicarsi all’azienda agricola, dopo la scomparsa del conte. Ricorderà nelle sue Memorie: La morte del padre mio, correre ai piedi delle colline o sulle sponde del torrente, perdermi nel folto delle biade, vivere di solitudine e di fantastici pensieri, era la sola consolazione ch’io trovassi a quel primo dolore che mi ricordo aver sentito assai profondo. Ma questa vita selvaggia e quasi abbandonata non poteva durare.
Tra l’immagine della dama romantica e quella dell’anticonformista vicina ai suoi contadini, chi era la vera Percoto? Forse, ambedue. Una personalità complessa, la sua. La stessa scrittura testimonia, però, maggiore interesse verso gli umili che non verso i nobili. Durante il dominio degli austriaci, assorbita dalla bellezza dei paesaggi del Friuli, riusciva a dirigere il lavoro dei campi e della coltura dei bachi da seta, scrivendo del povero mondo rurale che le gravitava intorno. In molti luoghi del Friuli esiste un’antica costumanza, per cui, sul finire dell’autunno, dopo terminata la raccolta e fatto i conti ai coloni, il padrone invita a pranzo ogni capo di famiglia a lui soggetta, e questo banchetto si chiama il “Licof”… Poiché ella era una donna aveva invitato anche tutte le padrone di casa. Nella sua bizzarra testolina aveva divisato di dare con ciò un esempio, per cui tra i contadini sparisse quel brutto costume che vuole escluse le donne dalla mensa de’ loro mariti, e le condanna a mangiare in disparte o in un cantuccio del focolare, perfino nei giorni solenni di nozze o battesimo.
Nel 1839 la Favilla – rivista triestina - le pubblica un primo scritto inviato a sua insaputa da un prete amico; negli anni successivi le furono pubblicati i primi racconti che la fanno conoscere al mondo letterario italiano. Nel 1848, con la prima guerra di indipendenza, Caterina divenne più politicamente impegnata; sconvolta in prima persona dai “Fatti di Jalmicco”, riscosse un grande successo negli ambienti patriottici con La donna di Osoppo in cui racconta come il paese fu ridotto alla fame dai tedeschi per ottenerne la resa - Pane per i miei poveri figlioli!... Sorse la donna, e non aveva fatto due passi che fischiò la palla e la colpì nella fronte - e con La coltrice nuziale, in cui un materasso diventa il filo conduttore di memorie di guerra - Siamo morti contenti per l’Italia! Una speranza ci ha rallegrato gli spasimi dell’agonia… Oh prega che il nostro sangue non sia sprecato!
Pur avendo avuto l’intuizione di un carico di legna che anticipa quello dei più noti lupini, Prisco ritiene ingeneroso un confronto col Verga, ma, non dimentichiamolo, fu proprio lei, la Percoto, a scrivere la prefazione a Storia di una capinera, rimarcando la piaga della monacazione forzata che poi riprenderà ne La Sçhiarnete. Se, all’inizio, vede i suoi modelli in George Sand e E. Marlitt, Caterina diventerà una cultrice del realismo comunque intriso di riflessioni morali e di scrittura istintiva, lontana da qualsiasi retorica. Sulle colonne de La Ricamatrice si occuperà dell’educazione delle donne delle classi inferiori, con quattordici lettere pedagogiche - influenzate dal Lambruschini e dal Rousseau. La grande novità è un nuovo metodo di formazione che faccia acquisire alle donne un registro linguistico nazionale. E anco - continua Tommaseo - qui la gentildonna, per divinazione di poeta, si fece più popolo che molti scrittori del popolo stesso non degnino: e non potendo al dialetto toscano, attinse al proprio ch’ella scrive con garbo d’artista.
Nel 1866, Caterina aveva dichiarato in una lettera a Luigia Codemo: Non amo poi niente affatto e schiettamente glielo dico ch’Ella scriva la mia biografia. Che potrebbe dire di me? Nata nel taanno, vissuta in campagna fino al tal’altro, educata in convento, poi fatta la prima comparsa nel mondo in una città di provincia, poi di nuovo in campagna, ecc. Tutte cose che non possono per niente interessare il signor pubblico, il quale se crede può leggere i miei scritti. Io l’ho colle biografie! sento che una volta o l’altra romperò una lancia contro questi signori che vogliono mettere in piazza i dolori e le gioie dei poveri diavoli che hanno qualche celebrità.
Mi perdonerà, Caterina Percoto? Io credo che, al contrario di quanto lei pensasse, il signor pubblico sarà interessato… E voi?
ennebi
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