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FABULA RASA 87/ La tempra di Caterina

Simbolo di un Risorgimento che si fonda sull’educazione delle nuove generazioni, Caterina Franceschi (1803-1887) ha attraversato l’Ottocento conquistandosi un posto di rilievo nel panorama  culturale. E oggi? Chi la conosce?

Donna dalla tempra energica, maturata dopo un incidente che le compromise la vista per alcuni anni fin da bambina, si dedicò alla vita intellettuale, cosa non comune per le donne del tempo. Altra esperienza che la fortificò, fu l’amore per Giacomo Ricci, contrastato dalla famiglia di lui e testimoniato da un epistolario: dalle sue lettere scaturisce la passionalità e il romanticismo che in seguito venne messo in ombra. Un carteggio giovanile che ci dà l’immagine di una Caterina, preda dei tumulti del cuore,  non corrispondente alla tenace donna che diventerà.

Dal fatto che a Michele Ferrucci, suo futuro marito,  pone come condizione per il matrimonio la  continuazione dei propri studi, comprendiamo di che pasta fosse la patriota e poetessa. Non usò più la parola amore - infranti i sogni -  ma ebbe, fino alla fine, un’intesa serena, spirituale e intellettuale con il suo ex maestro di greco. Aderì, infatti, ai moti insurrezionali insieme al marito  nel 1831 con invettive contro lo stato pontificio. O Italia, o dolce suolo, a me diletto / sì caramente tu pietà m’ispiri / e d’immenso dolor m’aggravi il petto.

Scrisse, fra le prime opere, Intorno alla più degna gloria dello scrivere, censurata dalla curia pontificia e Sull’imitazione dei classici, in cui prese posizione, nella querelle  tra romantici e classici a favore, appunto, di questi ultimi, consapevole che ispirarsi ai classici contribuisse al rinnovamento dell’Italia dal punto di vista non solo letterario, ma anche politico e civile. Per Caterina la cultura classica possiede, sì, un valore filologico, ma ciò che la rende superiore è che può diventare strumento di educazione e quindi di riscatto per l’Italia onde riportarla ai fasti della sua antica grandezza.

Se il progresso scaturisce dunque dall’educazione, Caterina prende a cuore quella delle donne considerandola, addirittura, un fatto politico. Segue, infatti, le idee di Gioberti sul dovere che  spetta alle madri di educare i figli alla nuova coscienza nazionale.

Non approvo l’opinione di coloro che affermano essere l’anima della donna inferiore di pregio a quella dell’uomo; dal punto di vista morale, civile e spirituale le donne non possono accontentarsi di rassettare la casa e ricamare un corredo anche se, attenzione! l’istruzione delle donne non deve allontanarle dall’ambito domestico e matrimoniale. La visione di Caterina ci stupisce se pensiamo a come lei riuscì a conciliare il ruolo di moglie, madre e scrittrice. Niente parità,  insomma, non si doveva fare confusione di ruoli, come la nostra precisa nelle Letture morali ad uso delle fanciulle: Gli uomini s'ebbero in particolar distintivo la forza dell'intelletto e la gagliardia delle membra: noi (donne) avemmo dalla natura a dote speciale la soavità degli affetti e la tenerezza del cuore.

In una lettera a R. Lambruschini, è ancora più chiara: A me sembra stoltissima l'opinione di quelli, i quali vorrebbero che le donne avessero in comune cogli uomini gli uffici, e gli onori: sicché in luogo di attendere ai casalinghi lavori, e ad allevare i loro figlioli perdessero in gare ambiziose la pace dell'animo, la verecondia, e la dignità della vita.

Caterina crede e segue la morale cattolica senza bigottismi, ma nemica di sensismo e materialismo. Pur conoscendolo, il grande Leopardi non può essere considerato se non  un cattivo maestro ché con il dolore  potrebbe far allontanare dalla fede, per cui  I canti sono banditi dalle letture per ragazze in quanto solo la verità e la bontà possono infondere quel vivo amor della gloria necessario per portare a compimento il programma risorgimentale. Possiamo ancora essere indulgenti  verso di lei per alcuni leopardismi, riscontrati dalla critica, nel suo inno più famoso?

Purtroppo nel 1857 Caterina  perde la figlia Rosa di soli 22 anni e per molto tempo si chiude in sé stessa scrivendo un diario in cui è riposto il dolore di una madre e torna alla poesia, elogiata pubblicamente dal  Carducci. O voi che senza speme ognor nel pianto / Muovete i passi in questa valle oscura, / A me intorno venite: io per voi canto.

Caterina Franceschi nel 1871 è la prima donna che viene eletta Membro Corrispondente dall’Accademia della Crusca per cui scrive il discorso Della necessità di conservare alla nostra lingua e alla nostra letteratura l’indole schiettamente italiana.  Purtroppo, dopo la scomparsa del marito e un ictus, nel 1881 torna, prima di morire, alla solitudine dell’infanzia. Di tanto in tanto riceve le visite di un ammiratore: Alessandro Manzoni – come lui aveva celebrato le opere della Provvidenza divina.

Deh! perché sì ti duole / della  nostra partita? / Di noi non pianger, no! Sogno fugace, / anzi l’ombra del sogno è nostra vita: / qui è secura letizia, eterna pace: / qui al di sopra del sol, sopra le stelle, /  noi nel grembo di Dio siamo più belle.

Un Risorgimento non femminista quello di Caterina Franceschi, ma orientato verso l’aspetto culturale dell’educazione delle donne, un’educazione severa, purtroppo, sul quale pesava il modello femminile cattolico. Una pedagogia patriottica che ebbe il merito, comunque, di adempiere a una funzione sociale e, di quei tempi, ve n’era tanto bisogno. Da una donna emancipata come lei ci saremmo, di certo, aspettati di più. Ma tra vita e scrittura trapela una contraddizione che ci porta a chiedere come sarebbe andata se avesse potuto sposare il suo grande amore Giacomo Ricci.

ennebi

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