Ci sono visioni, presentimenti, illuminazioni che segnano il nostro percorso esistenziale. Io ne sono sempre stata convinta. Credo anche per Renata Viganò (1900-1976) quando, a soli 12 anni, si chiedeva: Chi sono? e si rispondeva: Sono piccola ancora, ancora giuoco / volentieri tanto, ma nel cuore / s'accende a volte un subitaneo fuoco, / s'accende a volte un subitaneo amore / per l'arte bella, per la poesia. / Non so che c'è nella vita e nel mondo, / non ho provato il dolore profondo, / ma solo i baci della mamma mia. Renata avrà una vita piena, conoscerà i dolori della guerra e tutto questo confluirà nella sua opera più conosciuta (ne scrisse molte altre). Ella dormiva, ma l'anima sua / vagava nell' immenso cielo azzurro, / …diceva a una nuvola: «La tua / forma sì vaga, fragile, stranissima, / …ad un' anima sciolta e senza briglia. / Tu tempesti, dilegui al vento forte, / e l'anima non fa così al dolore, / che la strazia e l'infrange insieme al cuore, / e la spinge pian pian verso la morte?» Dalla raccolta Ginestra in fiore a L’Agnese va a morire il passo è breve. Romanzo sui partigiani scritto da una donna che partigiana era. Premio Viareggio 1949, tradotto in 14 lingue, da esso Giuliano Montaldo girò l’omonimo film, prezioso documento storico oggi caduto nell’oblio così come il libro.
Agnese perde il marito, morto dopo essere stato imprigionato dai tedeschi, ma è solo dopo che un tedesco uccide la sua gatta che qualcosa scatta in lei e non si ferma più se non con la morte. Agnese è la Resistenza, la madre dei partigiani che sfama, cura, accudisce, ama come fossero i figli che non ha mai avuto. – Tu cosa ne dici, mamma Agnese? – Io non capisco niente, – rispose lei, levando dal fuoco la padella, – ma quello che c’è da fare, si fa. Agnese è la forza di una donna non più giovane – ha appena più di cinquant’anni – dalla schiena rigida e grassa, pesante nei movimenti, col respiro corto: eccola vagare, le gambe stanche e i piedi gonfi, sulle immancabili ciabatte o in sella alla bicicletta, nella nebbia della sua terra occupata dal nemico.
Ricorda, di certo, i suoi versi di bimba, Renata/Agnese: Fra la nebbia che ondeggia a volta a volta / non mi rammento più vita né morte. / La bianca nebbia si fa ancor più folta: / fra le mie mani stan le viole morte. E scrive un romanzo sulla Resistenza in uno stile lirico che va dritto al cuore, senza fronzoli. Intanto, nella valle, oltre le capanne già spente, quasi all’opposta estremità del sentiero, si videro nascere delle strisce accese, basse, svelte, come lingue rosse che leccassero. […] E sempre le lingue leccavano a destra e sinistra, e fra l’una e l’altra leccata ancora si propagava la fiamma, cresceva la terra che ardeva, si stampava a poco a poco il disegno della valle
Agnese non è un personaggio inventato, racconta l’autrice: La prima volta che vidi l’Agnese, o quella che nel mio libro porta il nome di Agnese, vivevo davvero in un brutto momento. […] Poi intesi la sua voce che diceva: “È lei la Contessa?” e allora tutto cambiò colore: mai il mio nome di battaglia mi aveva data tanta gioia nel sentirlo pronunciare. Mi sentii riammessa nel giro: non più sfollata ma partigiana. Mio marito nella cella delle SS, io libera sui sassi del fiume: eppure eravamo vicini. […] Noi che uscimmo salvi dalla lotta… ma rinchiusi nel mio libro con lei.
Nessuno è mai riuscito a trovare la buca in cui i tedeschi buttarono il cadavere di Agnese. Il maresciallo rimise la pistola nella fondina, e tremava, certo di rabbia. Allora il tenente gli disse qualcosa in tedesco, e sorrise. L’Agnese restò sola, stranamente piccola, un mucchio di stracci neri sulla neve. Ma anche qui i versi di Renata bambina vengono in soccorso: Che cos' è mai la vita? / In fra l'infida ondata, / è tremula, smarrita / una paglia gettata. / È pagliuzza la morte, / è pagliuzza la vita, / è pagliuzza la sorte / sì tremula e smarrita.
Renata: mancata chirurga, inserviente e infermiera, moglie e madre, partigiana, poetessa e scrittrice. Donna.
ennebi
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